Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 10 aprile 2016 Domenica 17 aprile tutti gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum che propone l’abrogazione della norma legislativa che permette agli impianti di trivellazione per il petrolio e il gas — entro le 12 miglia dalle nostre coste — di prolungare all’infinito la loro attività senza più il limite di durata delle concessioni precedenti. Si tratta di un regalo di portata enorme fatto alle imprese del petrolio e del gas, contro cui hanno assunto l’iniziativa referendaria ben nove Regioni, sette delle quali governate dal centro-sinistra e presiedute da esponenti del Pd. Per questo appare semplicemente sconcertante che, a cercare di far fallire con una campagna astensionistica il referendum (che prevede il quorum di validità del 50% più uno dei votanti), sia entrato in campo il governo Renzi e lo stesso Pd, a cui appartengono la maggioranza dei presidenti delle Regioni promotrici (a cui si è aggiunto il presidente della Toscana Rossi, il candidato sindaco di Roma Giachetti e molti altri esponenti del Pd in dissenso con Renzi sull’astensionismo). Per la prima volta nella storia repubblicana, dunque, un governo decide di boicottare un referendum, invitando all’astensione i cittadini, che sono i depositari della sovranità popolare: mai nessun altro governo lo aveva fatto prima. Lo fece nel 1991 l’allora segretario del Psi (ma non presidente del consiglio) Bettino Craxi (insieme a Bossi della Lega) per cercare di boicottare il referendum Segni sulla preferenza unica. Ma gli elettori andarono invece a votare in massa e fu l’inizio della fine per Craxi, ben prima dell’esplosione di Tangentopoli. Lo fece anche nel 2005 l’allora presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), il cardinale Camillo Ruini, contro il referendum sulla legge relativa alla procreazione assistita, e la manovra astensionistica in quel caso riuscì. Ma, dopo di allora, la Corte costituzionale, con più sentenze, ha dichiarato incostituzionali le norme fondamentali di quella legge, dimostrando che il referendum era assolutamente fondato. E allora comunque molte forze politiche, tra cui i Ds (il Pd non era ancora nato), protestarono per questo ruolo della Cei di Ruini. La Chiesa italiana da allora è profondamente cambiata, soprattutto dopo l’elezione di papa Francesco e soprattutto dopo l’enciclica «Laudato si’» sull’ecologia integrale. La settimana scorsa i rappresentanti di 84 diocesi si sono presentati a piazza San Pietro per affermare la loro adesione al «sì» nell’attuale referendum contro le trivellazioni in mare. In un’intervista a «Famiglia cristiana» monsignor Filippo Santoro, presidente della Commissione della Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, si è pronunciato per il sì nel referendum, dichiarando tra l’altro: «Le piattaforme petrolifere al largo delle coste dell’Adriatico e dello Ionio sono un’ulteriore aggressione a una realtà già fragile e vanno a intaccare la vocazione legata al mare, al turismo, alla pesca, all’agricoltura e all’artigianato di un territorio già ferito. La tecnologia non può non tenere conto delle conseguenze di un suo abuso che non contempli le possibili ripercussioni. Sono il vescovo di una terra, quella di Taranto, che è simbolo dello sviluppo a cui è stato sacrificato il benessere del creato, una terra che è monito per chiunque voglia perseguire una strada che ha dato frutti avvelenati». Il referendum serve dunque a cancellare, e lo faranno i cittadini visto che il governo si è sempre distinto per una politica in favore delle fossili, un inammissibile regalo fatto alle compagnie petrolifere che oggi possono estrarre petrolio e gas entro le dodici miglia nei nostri mari, senza alcun limite di tempo. Mettere una scadenza alle concessioni date a società private, che svolgono la loro attività sfruttando beni appartenenti allo Stato, dovrebbe essere previsto dalla legge. Nel nostro Paese, però, la politica «pro trivelle» messa in campo dal governo ha reso necessario una consultazione referendaria per ristabilire tale diritto e per promuovere uno sviluppo sostenibile basato sulle energie rinnovabili e il risparmio energetico. È importante inoltre sottolineare che il percorso referendario è tutt’altro che ideologico e si è già contraddistinto per aver conquistato, sulla base di altri cinque quesiti referendari, risultati concreti assai rilevanti. In particolare con la legge di stabilità 2016 il governo è stato costretto a fare dietrofront su tre aspetti cruciali: 1. le attività di ricerca ed estrazione di gas e petrolio nel nostro Paese non sono più strategiche (lo erano diventate con l’approvazione dello «Sblocca Italia» a fine 2014); 2. ha ridato voce ai territori, riportando le decisioni per le attività a terra in capo alle Regioni e agli enti locali (sempre lo «Sblocca Italia» aveva avocato tutte le decisioni allo Stato centrale); 3. infine ha finalmente reso operativo il divieto a nuove attività entro le dodici miglia nel mare italiano. Un divieto previsto già dal decreto legislativo 128/2010, ma che i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno sempre provveduto a smontare. Domenica 17 aprile i cittadini hanno la possibilità di completare questo disegno riformatore votando «sì» nel referendum dichiarato legittimo dalla Corte di cassazione e ammesso dalla Corte costituzionale. Marco Boato
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